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martedì 31 gennaio 2012

Carnevale di Paternopoli 2012

Paternopoli (Avellino)
Domenica 19 e Martedì 21 Febbraio 2012. Sfilate dei carri allegorici accompagnati da gruppi di ballo, a fare da cornice, figuranti, gruppi in maschera e gruppi folkloristici.

La Mela Annurca

Dal colore rosso-violaceo e dalla polpa tenera zuccherino-acidula, sono mele molto gustose e richieste, prodotte da alberi di medio fusto, i cui filari ben allineati possono essere visti, oltre che nei ns. campi, anche in quelli dei vicini centri di Giugliano-Qualiano (dove persiste la figura del melaro) e della Valle di Maddaloni, andando verso Sant’Agata dei Goti nel beneventano. 
Sono frutti che si conservano a lungo, a temperatura ambiente, e che pertanto possono essere trovati in tutte le stagioni dell’anno... anche se con più difficoltà nei mesi estivi, nei quali ci si può trovare di fronte a sottoprodotti o meglio a sottovarietà.
Uno degli elementi di tipicità che certamente caratterizzano l’annurca è l’arrossamento a terra che tale mela subisce nei “melai”, un tempo rivestito di strati di canapa detti “cannutoli” oggi sostituiti da altri materiali (paglia di cereali, trucioli di legno etc).
Questa pratica è volta a completare la maturazione della mela; si opera adottando metodi tradizionali con procedure effettuate tutte a mano. 
Ed è proprio tale fase che ne esalta le caratteristiche qualitative conferendo tipicità al prodotto “mela annurca”.
Inoltre, le proprietà acidule della mela sono terapeuticamente rilevanti: aiutano a fissare il calcio nelle ossa, esercitano un benefico influsso nei disturbi articolari, migliorano il metabolismo e influiscono positivamente sulla flora intestinale distruggendo i batteri nocivi. 
Quindi la mela annurca è da considerarsi un “frutto prelibato”, che va preferito per le molte virtù e chi la mangia beneficia di sicuro delle sue proprietà terapeutiche e delizia anche il palato.

Asprino di Aversa

Aree di produzione: Caserta; Giugliano, Qualiano e Sant'antimo in provincia di Napoli
Affinamento: - anni
Caratteristiche: fermo
Abbinamento consigliato: crostacei, molluschi, vermicelli al pomodoro, pesci delicati
Colore: giallo paglierino più o meno carico
Odore: intenso, fruttato e tipico
Vitigni: asprinio(85%) ammessi altri vitigni bacca bianca (max15%)
Sapore: asciutto e fresco
Grad. alcolica min. 10,5


La storia di questo vino è alquanto...frizzante. Si narra, infatti, che il sovrano Roberto d’Angiò, nel Trecento, abbia incaricato il proprio cantiniere, Louis Pierrefeu, di individuare il “cru” migliore per impiantare il vitigno Asprinio, portato dalla Francia per produrre spumante, altrimenti impossibile da avere a causa delle distanze che dividevano il Regno di Napoli dalla Regione dello Champagne. Pierrefeu non tardò a rendersi conto che l’Agro Aversano aveva condizioni climatiche tali da consentirgli di produrre uno spumante “leggero e brioso quant'altri mai”, con il quale avrebbe letteralmente inebriato la corte angioina. 
E così fu. Da allora l’asprinio di Aversa è noto non solo in Campania, ma viene apprezzato da grandi enologi e raffinati intenditori fino ad ottenere nel 1993 la consacrazione a livello nazionale e internazionale con l’assegnazione del marchio DOC.

Parmigiana di melanzane

L'origine di questo piatto si ritrova nell'opera di Ippolito Cavalcanti nel 1839 ed è da distinguersi dalle melanzane alla parmigiana, che è un piatto più ricco e di origine calabrese. Nella tradizione culinaria partenopea, la parmigiana di melanzane è il piatto tipico del pranzo di Ferragosto, ma ormai, 'grazie' alla possibilità di coltivare le melanzane anche d'inverno, spesso è presente tutto l'anno.

Per la realizzazione di una parmigiana per quattro/cinque persone, occorrono mediamente 1 kg di melanzane, 700 gr circa di fior di latte,700 gr circa di salsa di pomodoro (realizzata con pomodori freschi oppure pelati), abbondante parmigiano, basilico, olio, aglio, sale, olio per friggere. 

Riempite una padella con abbondante olio, strizzate delicatamente le melanzane e friggetele un po' per volta, scolatele su carta assorbente. A parte tagliate a fettine il fior di latte, prendete una teglia rettangolare e iniziate con un po' di sugo sul fondo, disponete un primo strato di melanzane ben affiancate e procedete poi con il fior di latte, poco sugo e parmigiano, poi di nuovo con le melanzane e così via, fino ad esaurimento degli ingredienti. Finite con melanzane, sugo e abbondante parmigiano, ponete in forno caldo a 200° per circa 15/20 minuti.

Sal Da Vinci

Sal Da Vinci nasce a New York nel 1969, ma è un napoletano verace, come suo padre, Mario: è proprio per "colpa" sua se Sal ha visto la luce negli Stati Uniti, in quanto mamma Anna aveva raggiunto il marito allora impegnato in un tour nella metropoli americana. Sal debutta in teatro nel 1976 all'età di sette anni diventando un bambino prodigio calcando i palcoscenici di tutta Italia portando in scena una forma di spettacolo prettamente popolare: “la sceneggiata”. Al suo debutto discografico vince il Festival Italiano di Canale 5 con la canzone "Vera", che diviene un best-seller in Sud America ("Vida mi Vida"), cantata da un giovane artista argentino.
Il vero segreto per una buona riuscita di uno spettacolo, dice Sal, è quando si abbatte ogni barriera tra palcoscenico e platea, da cui il titolo: “IO”, Sal Da Vinci, più “VOI” in sala, insieme siamo “NOI”, ossia due facce della stessa medaglia, che è quella dell’emozione e del piacere di stare insieme.



Pompei

Gli scavi ebbero inizio nel 1748, durante il regno di Carlo di Borbone, Re delle Due Sicilie, con l'intento prevalente di conferire prestigio alla casa reale.

Si procedette in modo discontinuo e in punti diversi dell'area, che solo dopo qualche anno fu identificata come Pompei, senza un piano sistematico. Furono così riportati alla luce parte della necropoli fuori porta Ercolano, il tempio di Iside, parte del quartiere dei teatri.

Il periodo di occupazione francese, all'inizio del 1800, vide un incremento degli scavi, che venne poi spegnendosi con il ritorno dei Borbone. Si lavorò nella zona dell'anfiteatro e del Foro e ancora in quella di porta Ercolano e dei teatri. Grande eco suscitò la scoperta della casa del Fauno, con il grande mosaico raffigurante la battaglia di Alessandro.
Dopo l'unità d'Italia e la nomina di Giuseppe Fiorelli alla direzione degli scavi (1861) si ebbe una svolta nel metodo di lavoro. Si cercò di collegare i nuclei già messi in luce e di procedere in modo sistematico, di tenere resoconti di scavo più dettagliati, di lasciare sul posto i dipinti (precedentemente venivano staccati e portati al museo di Napoli).

Fu anche introdotto il metodo dei calchi in gesso, che consentì di recuperare l'immagine delle vittime dell'eruzione. All'inizio del nostro secolo, l'esplorazione venne estendendosi, seguendo le direttrici costituite dalle strade, verso la parte orientale della città, ponendo sempre più attenzione anche alle tracce lasciate dal piano superiore delle case.
Si giunge così al lungo periodo (1924 - 1961) segnato da Amedeo Maiuri. Nella sua intensa attività, oltre alla scoperta di edifici di grande prestigio (valga per tutti la Villa dei Misteri) è da segnalare il completamento della delimitazione della città, lo scavo di ampia parte delle regioni I e II e della necropoli di porta Nocera, l'inizio metodico dell'esplorazione degli strati sottostanti al livello del 79 d.C., alla ricerca delle fasi più antiche di Pompei.

lunedì 30 gennaio 2012

La Soppressata di Gioi

La soppressata di Gioi (Salerno), presidio slow food, è un insaccato molto particolare di carne suina, costituito da na farcia piuttosto fine totalmente magra, recante centralmente una fettuccia di lardo.
Per la sua produzione si utilizza esclusivamente prosciutto, mondato di tutte le cartilagini e dei nervetti.
L’impasto, condito con sale e pepe, modellato manualmente, viene introdotto in budello naturale.
E' preparato in pezzi che, stagionati, pesano circa 250 g. I maiali utilizzati sono allevati in maniera naturale, con una provenienza locale.

Grotta dello Smeraldo

In Costiera Amalfitana, nell’incantevole baia di Conca dei Marini, si trova la Grotta dello Smeraldo.
Scoperta nel 1932 da un pescatore locale, la Grotta dello Smeraldo di Conca de' Marini deve il suo nome alla particolare colorazione assunta dall'acqua che riflette la luce che filtra dalle rocce di quel tratto di Costiera Amalfitana, creando effetti cromatici dalle strabilianti sfumature: dal blu cobalto, al turchese al verde smeraldo.
Nelle sue acque è possibile altresì ammirare un affascinante e originale presepe subacqueo, in ceramica di Vietri sul Mare, posto sul fondo della grotta dello Smeraldo a circa 4 metri di profondità.
Ogni anno, nel periodo natalizio, dei sub si immergono nelle acque cristalline della Costiera Amalfitana, e adagiano il bambino Gesù sul fondale della grotta.

Capri

Il mare azzurro

Ho male di luce, ho male di te, Capri solare.
Oh, troppo bella, oh, simile all'onda sul capo del naufrago.
Ma forse ai miei occhi non sei che un raggiante capriccio del prisma,
una dorata nuvola emersa dal fiato del mare?
No. Sento il tuo cuore che vive, che batte, in un cavo di roccia
del Pizzolungo; e guardia dal mare gli fanno i Ciclopi
che mai non conobbero il sonno; e dal monte le lance
dell'àgavi, e, immote, da torri di rupi, pupille di falchi.
Guizza ancor lungo i fianchi dei tre Ciclopi, e sfavilla
la lucertola azzurra che nacque al tuo nascere, o Capri.
Sacra al tempo, ella è maga, sovrana del sortilegio glauco.
Perfida come l'acqua che intorno agli scogli in cristalli
multisplendenti s'indura, dissolti da un tuffo di remo,
s'io l'afferro mi sfugge e m'irride, lasciandomi agli occhi il barbaglio.
Azzurra è la tua follia, Capri, nube del mare.
Azzurro il canto eterno di che tu colmi i cieli.
S'io debba morire di te, dammi la morte azzurra.
(Ada Negri).

Diego Armando Maradona

« Voglio diventare l'idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires. »

Il 5 luglio 1984 Maradona venne presentato ufficialmente allo Stadio San Paolo e fu accolto da ben settantamila persone, che pagarono la quota simbolica di mille lire per vederlo. Bastarono un palleggio ed un tiro verso la porta sotto la curva B e l'entusiasmo si trasformò già in tripudio.

Nella prima stagione, però, le aspettative furono in grande parte disattese. Mal supportato da una squadra di mediocre valore Maradona dimostrò quasi esclusivamente le proprie doti di funambolo, ma il suo contributo non poté essere utile per raggiungere grandi traguardi. Il Napoli disputò un brutto girone di andata e solo nel finale riuscì a raggiungere una tranquilla posizione di centro classifica.

Era chiaro che da solo Maradona non avrebbe portato il Napoli a grandi risultati e la società dovette subito correre ai ripari. L'anno successivo arrivarono in azzurro grandi rinforzi del calibro di Bruno Giordano, Claudio Garella, Alessandro Renica e rinforzi dalle giovanili del Napoli, tra i quali Ciro Ferrara che debuttò in prima squadra proprio nel 1985-86. Quella stagione finì col Napoli al terzo posto, ma era solo un anticipo del vero trionfo.

Il 10 maggio 1987 il Napoli pareggiò per 1 a 1 la partita casalinga con la Fiorentina conquistando matematicamente il suo primo scudetto. La città intera si abbandonò all'euforia ed alla festa. Maradona fu protagonista assoluto dell'impresa e coronò il sogno di vincere un titolo fino ad allora solo immaginato da tifosi e addetti ai lavori.

Il Napoli vinse anche la sua terza Coppa Italia, vincendo tutte le 13 gare, comprese le due finali disputate contro l'Atalanta. L'accoppiata scudetto/coppa fu un'impresa che fino a quel momento era riuscita solo al Grande Torino ed alla Juventus.

Carnevale Sarnese 2012

Presenta il programma carnevale 2012

Giorno 12/02/2012: Festa nei quartieri ogni comitato e/o associazioni, facente parte dell’A.C.S presenterà il proprio carro allegorico ai cittadini del proprio quartiere organizzando sfilate, balli e degustazioni.

Giorno 18/02/2012: Mascherina d’oro,In collaborazione con i plessi scolastici comitati ed associazione,la manifestazione avverrà in Piazza 5 Maggio alle ore 18:30.

Giorno 19/02/2012: Giornata dedicata ai bambini diversamente abili,ore 9:30 arrivo dei carri allegorici al centro della città,ore 10:00 arrivo del trenino Euro Baby che sfilerà per le vie della città,ore12:00 Santa Messa che si terrà in piazza 5 maggio,in serata alle ore 19:00 piazza 5 maggio gara di balli tra i figuranti dei carri allegorici partecipanti al carnevale 2012.

Giorno 20/02/2011: Selezione Reginetta del Carnevale 2012.

Giorno 21/02/2012 Giornata finale: sfilata dei carri con partenza dal campo sportivo alle ore 15:00.

Salerno

Salerno si propone sempre più come una comunità accogliente per i turisti ed i visitatori di tutto il mondo. 
Negli ultimi anni l’Amministrazione Comunale ha dato impulso al risanamento urbanistico ed al recupero delle funzioni socio-economiche del territorio: antichi monumenti e chiese sono stati restaurati; nuovi parchi e giardini inaugurati nei quartieri cittadini; strade e piazze sono state accuratamente arredate e illuminate artisticamente; numerosi gli spazi recuperati per attività artistiche, culturali e ricreative; potenziata anche l’impiantistica sportiva con la realizzazione di nuove strutture. Sono stati realizzati innumerevoli progetti tesi a migliorare la vivibilità dei quartieri e, più in generale, ad innalzare il livello della qualità della vita dei cittadini. 

Suggestivo e straordinario, nel centro storico di Salerno possono scorgersi tanto le tracce della antica storia cittadina, tanto il fervore di botteghe artigiane e locali di aggregazione artistico-culturale e musicale vissuti da migliaia di persone. 
Il recupero del cuore antico della città ha puntato a riscoprire i tesori d’arte e cultura di una terra eccezionale. 
Oggi, attraverso i vicoli e le piazze, le chiese e i palazzi, si può leggere il passato cittadino, si può percepire un'immagine delle vicende che si sono susseguite nel corso del tempo, la testimonianza dello splendore, della floridezza economica, sociale e culturale dei secoli passati. 

Ed è proprio nel centro storico della città che si svolge la vita notturna salernitana. 
Il Comune di Salerno ha favorito la nascita di numerose attività di ristorazione e di intrattenimento: tanti i pub che nel week end si affollano di migliaia di giovani fino a tarda ora. 
Nel periodo estivo, invece, c'è chi preferisce al centro storico l'aria più fresca del lungomare che dista pochi metri dalla zona antica di Salerno. Non mancano attrattive come discoteche e night in prevalenza situati sul litorale.

sabato 28 gennaio 2012

Il Malocchio

"Uocchi, contruocchi schiatam 'a mira e crepame l'uocchi"

Il malocchio, è un maleficio che può essere gettato per invidia da chiunque su qualcun altro e che procura a chi lo riceve dolorosi e ricorrenti mal di testa, oppure effetti ancora più gravi se l’autrice del malocchio è stata una “janara”.
Il malocchio può essere scacciato con un rito - un misto di paganesimo e religione - eseguito da qualche donna che sa toglierlo. Infatti, solo le donne possono eseguire questo rito che viene tramandato di generazione in generazione la notte della vigilia di Natale. In questa occasione, in genere la nonna, in una riunione segreta in cui sono ammesse solo le donne, spiega alle nipoti il rito e tramanda le formule da recitare per scacciare il malocchio.
Il rito consiste nel riempire un piatto d'acqua che viene ripetutamente passato sul capo della persona afflitta da mal di testa mentre si recita un susseguirsi di preghiere e formule incomprensibili o comunque recitate a mezza voce, anzi, appena sussurrate e, continui segni della croce descritti sul piatto e sul capo della persona oggetto del rito.
L'officiante, inoltre, intinge l'indice nell'olio d'oliva e ne fa cadere ogni tanto una goccia nel piatto colmo d'acqua. Le gocce spesso si allargano sino a sciogliersi, a volte assumono forme strane, altre restano intatte e ben definite. Secondo la tradizione, se le gocce d'olio si allargano o si sciolgono sino a scomparire significa che la persona cui si sta togliendo il malocchio ne è effettivamente affetto, se invece le gocce restano integre significa che il dolore accusato è dovuto ad altre cause. A volte, addirittura, dalla forma assunta dalle gocce d'olio che galleggiano sull'acqua, nel piatto, si può risalire all'autrice o all'autore del malocchio.
Ad esempio se queste si raggruppano in forme circolari simili a pendagli, si dice che siano orecchini, e indica che il malocchio è stato gettato per invidia o gelosia da qualche donna. Se il dolore persiste, bisogna procedere con altri due tentativi. Tuttavia, il rito non deve assolutamente essere ripetuto dalla stessa donna. In genere alla cerimonia, che dura pochi minuti, possono assistere anche altre persone che, anzi, in un momento particolare del rito vengono invitate a dire "benedica" ed a toccare contestualmente la persona afflitta dal malocchio.

'O Per e 'o Muss

'O per e 'o muss: ossia il piede e il muso, una specialità che affonda le sue radici nella tradizione popolare, di chi era abituato per necessità a non buttare nulla del maiale e del vitello. 
Infatti 'o per e 'o muss sono il piede del maiale e il muso del vitello che, opportunamente scottati, depilati, cotti e disossati, seguendo accurati controlli igienico-sanitari, arrivano sui furgoncini dei venditori ambulanti e vengono venduti a piccoli pezzi, conditi con sale e limone, ma soprattutto adagiati su carta oleata, perchè in altri contenitori non avrebbero lo stesso sapore.

Chiesa S.Sofia

Benevento

La chiesa di Santa Sofia fu fondata dal duca Gisulfo II e completata da Arechi II, genero del Re Desiderio, non appena divenne Duca di Benevento.

Essa, costruita accanto ad una abbazia benedettina, fu portata a termine nell’anno 762, forse come Chiesa nazionale del popolo longobardo, e fu la più ardita e fantasiosa costruzione dell’alto Medioevo.

Questa abbazia, in seguito a donazioni e lasciti, divenne una delle più potenti dell’Italia meridionale; essa raggiunse l’apogeo nel secolo XII, non solo per la sua chiesa monumentale ma anche per il suo "scriptorium" dove si usò la scrittura beneventana divenuta famosa nel mondo.

Santa Sofia ebbe così risonanza anche fuori d’Italia ed un trovatore francese del XII secolo fa celebrare in essa le nozze di un Re. In seguito, seguendo la sorte di quasi tutti i monasteri, decadde fino ad essere abbandonata dai Benedettini nell’anno 1595.

Decumano Inferiore - Spaccanapoli

Chiamato "Spaccanapoli" perchè divide in due parti la città antica. 

Si parte da piazza del Gesù Nuovo, così denominata dalla chiesa barocca dei gesuiti, edificata sull'area del rinascimentale palazzo Sanseverino, di cui conserva la facciata a bugnato a punta di diamante; il fulcro dell'area è costituito dalla barocca guglia dell'Immacolata, eretta tra il 1747 e il 1750 con i fondi di una sottoscrizione pubblica.

Si percorre via Benedetto Croce costeggiata da monumentali palazzi nobiliari, fra cui palazzo Filomarino in cui visse e morì il filosofo B. Croce.

L'arteria si allarga nella piazza San Domenico Maggiore dominata dall'abside poligonale dell'omonima chiesa, dal gotico portale di Sant'Angelo a Morfisa e sugli altri tre lati chiusa da importanti palazzi nobiliari: Petrucci, Casacalenda, Sangro di Sansevero e Corigliano. Al centro la mirabile guglia di C. Fanzago e di D. A. Vaccaro, eretta per sciogliere un voto fatto durante la peste del 1656. Da non perdere la visita alla Cappella Sansevero, che conserva il Cristo Velato, celebre capolavoro dello scultore napoletano Giuseppe Sanmartino.

Lungo via San Biagio dei Librai, così denominata perchè un tempo era la strada delle botteghe dei librai e oggi degli orafi, si notano alcuni palazzi rinascimentali: del Monte di Pietà con annessa Cappella, Marigliano e Carafa Santangelo.

Su via Duomo, degna di nota è la chiesa di S. Giorgio Maggiore, costruita fra la fine del quarto e l'inizio del quinto secolo, ma rifatta da Cosimo Fanzago nel Seicento. Nel secolo scorso, per l'allargamento di via Duomo venne abbattuta una navata.

Decumano Maggiore

Via Tribunali (Napoli)

L'itinerario inizia dalla vivace piazza Bellini, animata da caffè letterari, con lo scenografico fondale costituito dalla settecentesca scala in piperno che conduce all'ex convento di Sant'Antoniello a Port'Alba, ed al centro le mura greche di Neapolis del IV secolo a.C. Il percorso si snoda attraverso via San Pietro a Maiella, dove sorge il Conservatorio musicale, e via Tribunali con il cinquecentesco palazzo dei duchi Spinelli di Laurino, trasformato nel XVIII secolo dall'architetto Ferdinando Sanfelice. Questa strada è caratterizzata dai portici medioevali del palazzo di Filippo d'Angiò (o dell'Imperatore), principe di Taranto e imperatore di Costantinopoli, dove si svolge un pittoresco mercato. 

L'attuale piazza San Gaetano sorge sull'area dell'Agorà greca e poi del Foro romano e resta ancora oggi il cuore "palpitante" della città antica. A destra si apre la celebre via San Gregorio Armeno, famosa per le sue botteghe artigianali di pastori, fiori artificiali e presepi, affollatissima durante il periodo natalizio quando le varie "bancarelle" espongono la loro coloratissima merce. 

Di notevole interesse la sistemazione urbanistica di piazza Riario Sforza racchiusa tra la scalinata dell'ingresso secondario al Duomo, la grandiosa cupola della cappella di San Gennaro ed al centro la guglia più antica di Napoli dedicata al Santo. Quest'area, un tempo utilizzata per i festeggiamenti esterni in onore di San Gennaro venne immortalata in un celebre acquerello del pittore napoletano Giacinto Gigante. Al termine del Decumano Maggiore si erge l'imponente mole della reggia-fortezza di Castel Capuano, con l'antica porta di accesso alla città, ricostruita in forme rinascimentali.

XXIV Sagra del Maiale


Senerchia (Avellino)

Il Corno

Una delle tradizioni più curiose del capoluogo partenopeo è certamente la credenza nel corno portafortuna. Questo talismano è considerato il simbolo apotropaico per antonomasia, capace di allontanare gli influssi maligni e attirare quelli positivi. Ma secondo la tradizione partenopea, il corno per portare davvero fortuna deve essere rigido, cavo all’interno, a punta e soprattutto deve trattarsi di un regalo. Le sue origine sono antichissime, gli abitanti delle capanne lo mettevano fuori dall'uscio come auspicio di fertilità. Ai quei tempi la fertilità veniva associata alla fortuna perchè più il popolo era fertile più era potente e quindi fortunato. Poi si dice anche che il corno per portare fortuna deve essere rosso e fatto a mano. Rosso perché già nel medioevo ogni talismano rosso aveva doppia efficacia e il rosso simboleggiava la vittoria sui nemici e nei tempi più antichi diverse popolazioni associavano al colore rosso un significato di fortuna e buon auspicio. Il motivo per il quale il corno deve essere fatto a mano sta invece nel fatto che ogni talismano fatto a mano acquisisce poteri benefici dalle mani che lo producono.

venerdì 27 gennaio 2012

Renato Carosone



Carosone si trovava in un bar, quando fu avvicinato da un ammiratore. << Maestro>>, gli disse lo sconosciuto, <<finalmente la conosco di persona. L'ho sempre seguita fin da bambino.>> <<Bene, adesso mi ha raggiunto>>, fu la laconica risposta di Carosone.

Nasce a Napoli il 3 gennaio 1920. La mamma ed il papà non sospettavano certamente di aver messo al mondo l’uomo e l’artista che sarebbe diventato il simbolo della canzone napoletana in tutto il mondo. Attraverso la sua simpatia, il suo innato umorismo, la sua musica, ha fatto canticchiare, ballare, divertire, sognare, innamorare, gente di ogni paese. Cina compresa.
La sua infanzia è caratterizzata da una Napoli, fantastica, passionale, piena di risate e di poesia, dove tutto è ironia e commedia, ogni cosa al limite tra sogno e realtà.
In questo clima non tarda a manifestare la sua schietta passione per la musica ed in particolare il fascino che su di lui esercita il pianoforte; i genitori a fronte di ogni sacrificio lo assecondano e lo fanno studiare sotto la guida di autentici maestri come Vincenzo Romaniello, Celeste Capuana e Alberto Curci.


Invenzione del Bidet

Nella seconda metà del 1700 troviamo il primo bidet utilizzato in Europa, proprio in territorio italiano, che diede il via alla sua diffusione prima nel Regno delle Due Sicilie e, molti anni più tardi, anche nel resto della penisola. Fu la Regina di Napoli Maria Carolina d'Asburgo-Lorena ad essere particolarmente innovativa nel volere un bidet nel suo bagno personale alla Reggia di Caserta. Dopo l'annessione al Piemonte, ad unità d'Italia avvenuta, si fece l'inventario di ciò che si trovò nella reggia borbonica e, non sapendo che cosa fosse, non si seppe dare una definizione dell'oggetto; nell'inventario fu scritto "oggetto sconosciuto a forma di chitarra".
Dal 1900, durante l'età vittoriana, con l'avanzamento tecnologico delle tubature, il bidet, assieme al vaso da notte, divenne uno strumento utilizzato nella stanza da bagno e non più in camera da letto.

Impepata di cozze

'A‘mpepata e cozze
Ingredienti: (dose per 4 persone)
40-50 cozze freschissime
un limone
una manciata di prezzemolo
pepe

Tritare il prezzemolo. Lavare le cozze e metterle in un tegame; quando le cozze al calore della fiamma si apriranno, levarle. A lavoro finito filtrare l’acqua rimasta nel tegame, facendola passare attraverso una fitta pezzuola; lasciare riposare. In un tegame rimettere l’acqua delle cozze badando di non versare l’ultima parte nella quale potrebbe essersi depositato qualche granellino di sabbia. Sistemare ordinatamente le cozze nel recipiente e insaporirle con pepe di fresca macinatura e cospargerle con il prezzemolo tritato e il succo di limone, mettere la preparazione sul fuoco per qualche minuto e poi servire le cozze disponendole in rustiche ciotole.

Vico Pensiero - Napoli

Luogo di incantesimi. Vico Pensiero: lo scenario sul quale, per secoli, il potere della femminilità diabolica ha messo in scena la storia infinita dell’ossessione d’amore. Un’iscrizione, ai piedi di un bassorilievo, con sibilline parole, ammoniva gli incauti contro il fascino perverso delle streghe:

“POVERO PENSIERO ME FU ARRUBATO PE NO LE FARE LE SPESE ME L’HA TORNATO”

E’ la lapide posta, secondo una leggenda popolare, da un giovane delirante d’amore. Una strega diciassettenne, dai lunghi capelli neri e dagli occhi di giada, lo prese, come fanno le streghe, con il sorriso più dolce e le parole più tenere. Si concesse a lui con il trasporto e il candore della più devota sposa. E quando non vi fu nemmeno un frammento d’anima da conquistare ancora ella si stancò. Le streghe non conoscono i sentimenti, ignorano le emozioni. Ma l’incantesimo non poteva essere sciolto. Per anni vagò lungo le strade che lo avevano visto gioioso e innamorato. Poi decise di lanciare il suo ultimo, disperato grido di dolore. Di scolpire nella pietra i tormenti della sua anima. L’iscrizione di vico Pensiero, per secoli, ha messo in guardia cittadini e forestieri. Poi, nel 1890, la stradina fu abbattuta per consentire i lavori di risanamento della zona e la lapide ceduta alla società storica di Napoli, dove ancora è conservata. Quel luogo di incantesimi e rimarrà per sempre rifugio delle streghe.

giovedì 26 gennaio 2012

La Mozzarella

L'origine della mozzarella risale al medioevo, nella pianura napoletana, dove le bufale producevano un latte che, a causa dei mezzi di trasporto molto lenti, giungeva inacidito ai caseifici, determinando una cagliata che si prestava molto bene ad essere filata.

La mozzarella deve il suo nome all'atto della mozzatura, che avviene quando il casaro trancia un pezzo di pasta filata dal lungo nastro formando una mozzarella.

Tuttavia il prodotto mozzarella sembra totalmente assente nella iconografia napoletana. In effetti la mozzarella si configura in origine come un sottoprodotto della preparazione della provatura/provola, circondata da una scarsa considerazione per le difficoltà di conservazione e commercializzazione date le peculiari caratteristiche di freschezza, e perciò destinata ad un circuito ristretto, magari di raffinati degustatori.

Casertavecchia

Le origini del paese ancora oggi non sono certe, ma secondo alcuni scritti del monaco Benedettino Erchemperto che risalgono all'anno 861, si parla di un primo nucleo urbano, sulle montagne denominate "Casahirta" (dove casa sta per villaggio e hirta o erta per aspra, ripida, di difficile accesso).

Il Borgo originalmente edificato su un pre-esistente villaggio romano nel corso degli anni ha subito varie dominazioni. Originariamente appartenne ai Longobardi e nell'879 fu dato al Conte Pandulfo di Capua. Nel secolo IX a seguito di vari eventi bellici, quali incursioni saracene e devastazioni di Capua, gli abitanti e il Clero si videro costretti a cercare rifugio in luoghi più sicuri, come quelli montani.

E fu proprio in seguito a questi eventi che la popolazione aumento' notevolmente, e cosicchè alla fine fu trasferita anche la sede vescovile e pare che si debba a Riccardo di Lauro la costruzione del castello della grande torre cilindrica superstite.

Nel 1442 il Borgo passa sotto la dominazione aragonese, e qui inizia la sua parabola discendente, Casertavecchia vede lentamente decadere la sua importanza, poiche' la vita incomincia a svilupparsi in pianura. Restano a Casertavecchia solo il vescovo e il seminario, che continuano a dare una minima importanza al Borgo. Questo fino all'anno 1842, quando Papa Gregorio XVI ne sanci' il definitivo trasferimento alla nuova Caserta. In seguito con il dominio dei Borboni nell'Italia meridionale e la costruzione della reggia, il nuovo centro di ogni attivita' diventa Caserta e per forza di cose gli abitanti della vecchia cittadina dovettero spostarsi in pianura. A ricordo ancora dello splendido passato che fu restano il Duomo, il campanile, i resti del castello e le strade dell'intero Borgo tutte in stile siculo-normanno.

La Sfogliatella

Si narra che, a cimentarsi nella preparazione di questi squisiti dolci furono, per prime, le monache del Convento di Santa Rosa d’Amalfi. Queste hanno custodito il segreto della ricetta nel monastero fino a che un intraprendente napoletano, Pasquale Pintauro, oste in un locale di Via Brigida a Napoli, riuscì a rubarla, con un abile trucco. Iniziò così a smerciare sfogliatelle, nelle varianti riccia e frolla, nella sua osteria. Il successo fu straordinario tanto che la sua osteria divenne una delle più famose pasticcerie non solo di Napoli, ma dell’intera nazione.

mercoledì 25 gennaio 2012

Positano e Li Galli

L’origine di Positano risale alla preistoria, infatti è stato datato intorno ad 11.000 anni, periodo dell’ultima glaciazione, il reperto archeologico di un pasto a base di cervo ritrovato in una grotta di Sponda.

Situata alle pendici dei monti Lattari, che la riparano dai venti del Nord, Positano è circondata dal verde del Monte Comune, Santa Maria del Castello, S. Angelo a tre Pizzi, la Conocchia, il Campo dei Galli e Paipo, mentre davanti vi è il mare con una vista che spazia fino a Punta Licosa e Capri; a circa tre miglia dalla costa poi si erge il caratteristico arcipelago de Li Galli, composto da tre isolotti.
Varie sono le leggende sulla sua origine: alcuni credono che a fondarla sia stato Poseidone, dio greco del mare, per amore di Pasitea, sua amata, mentre altri l’attribuiscono ai Fenici oppure ai Picentini.
Anche i Romani giunsero qui e costruirono nei pressi della spiaggia Grande una ricca villa patrizia, ora sepolta dai giardini e dalla Chiesa dell'Assunta.

Oggi Positano è un centro turistico famoso in tutto il mondo e non teme rivali.
Distante circa tre miglia da Positano, l'arcipelago de Li Galli é composto da tre isolette denominate rispettivamente: Gallo Lungo, La Castelluccia, La Rotonda. Secondo un'antica leggenda, questo tratto di mare costituiva la sede delle sirene, figure mitologiche metà donne e metà uccello che ammaliavano i pescatori con il loro canto e li facevano naufragare.

Eduardo De Filippo

Io vulesse truvà pace


Io vulesse truvà pace;
ma na pace senza morte.
Una, mmieze'a tanta porte,
s'arapesse pe' campa'!
S'arapesse na matina,
na matin' 'e primavera,
e arrivasse fin' 'a sera
senza dì: 'nzerràte llà!
Senza sentere cchiù 'a ggente     
ca te dice: io faccio...,io dico,
senza sentere l'amico
ca te vene a cunziglia'.
Senza senter' 'a famiglia
ca te dice: Ma ch' 'e fatto?


Senza scennere cchiù a patto     
c' 'a cuscienza e 'a dignita'.
Senza leggere 'o giurnale...
'a nutizia impressionante,
ch'è nu guaio pe' tutte quante
e nun tiene che ce fa'.
Senza sentere 'o duttore
ca te spiega a malatia..
'a ricett' in farmacia...
l'onorario ch' 'e 'a pava'.
Senza sentere stu core
ca te parla 'e Cuncettina,
Rita, Brigida, Nannina...
Chesta sì...Chell'ata no.
Pecchè, insomma, si vuo' pace
e nun sentere cchiu' niente,
'e 'a spera' ca sulamente
ven' 'a morte a te piglia'?
Io vulesse truva' pace
ma na pace senza morte.
Una, mmiez' 'a tanta porte
s'arapesse pe' campa'!
S'arapesse na matina,
na matin' 'e primavera,
e arrivasse fin' 'a sera
senza di': 'nzerràte lla'!

Nasce il 24 maggio del 1900, figlio dell’attore Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo.
Nel 1904 debutta come giapponesino ne "La geisha", firmata da suo padre.Nel 1909 i tre fratelli De Filippo: Titina, Eduardo e Peppino, si ritrovano insieme sul palcoscenico del Valle di Roma per una recita di "Nu ministro mmiez 'e guaie" del padre Eduardo Scarpetta.
Nel 1911 va in collegio, ma nel periodo estivo continua a recitare, provando anche nel cinema , ma l'esperienza è durissima e termina presto.
Sul palcoscenico dell'Orfeo, Eduardo scopre anche il mondo del teatro di varietà e delle macchiette, e fa amicizia, in un camerino di "quello sporco locale" che a lui "pare bello e sontuoso", con Totò. Nel 1917 i tre De Filippo si riuniscono per recitare al Mercadante al Trianon e al Fiorentini, la loro convivenza artistica dura pochissimi mesi, in giro per l'Italia centro-meridionale. Nel 1920 viene richiamato alle armi e presta servizio nella caserma del II° Bersaglieri di Roma dove viene subito incaricato di organizzare recite con i soldati (Titina gli dava una mano per i ruoli femminili); e scrive atti unici per i bersaglieri-attori, mentre la sera può lasciare la caserma per recitare al Valle. In questo periodo incomincia ad abbinare al ruolo di attore quello di autore: scrive l'atto unico "Farmacia di turno" che la compagnia di Vincenzo mette in scena nel 1921.
Nel 1922, terminato il servizio militare, riprende a calcare con regolarità i palcoscenici sempre nella compagnia di Scarpetta. Scrive "Ho fatto il guaio? Riparerò!", commedia in tre atti che andrà in scena quattro anni dopo al Fiorentini di Napoli con il nuovo titolo "Uomo e galantuomo".
Nel 1924 si associa alla compagnia di riviste di Peppino Villani.Nel 1926, insieme al fratello Peppino, firma il contratto come attore brillante nella compagnia di Luigi Carini con altri attori di nome come Camillo Pilotto e Arturo Falconi.
Nel 1927 preferisce tornare nella compagnia di Vincenzo che gli mette in scena "Ditegli sempre di si" commedia in due atti. Nello stesso anno, finita la stagione teatrale, l'amicizia con Michele Galdieri si concretizza nello spettacolo dal titolo provocatorio o scaramantico "La rivista... che non piacerà!" in scena il 27 luglio al Fiorentini di Napoli.Nel 1929, al Fiorentini, Eduardo e Peppino hanno successo con lo spettacolo "Prova generale", tre modi di far ridere (la risata semplice; la risata maliziosa; la risata grottesca).

Le Janare

Si ritiene siano streghe. Essenzialmente malefica, la janara è una donna, che ha ottenuto un potere soprannaturale, grazie ad un patto col demonio. Pettegoleggia, si stizzisce, si vendica, gelosa, come le femminucce, che ne han creato il tipo, ad immagine e similitudine propria. L'esistenza e l'identità di questi esseri non sono state mai verificate: non si sa, ad esempio, se le janare fossero state delle persone fisiche, oppure cose di altra provenienza. Il fatto sta che durante il periodo notturno accadevano degli episodi del tutto strani. Dai racconti dei cacciatori si evince infatti che durante la notte si creavano dei vortici d'aria anche a tempo atmosferico ottimale, seguiti da fischi, ed apparivano dei grossi volatili che erano imprendibili. Una delle tante leggende narra che anni addietro anche una giovane coppia di sposi fu interessata dal fenomeno delle janare. Si racconta infatti che una notte lo sposo, svegliatosi, si accorse che la moglie non dormiva accanto a lui, per cui si mise a cercarla per tutta la casa. Ma dopo vane ricerche, se ne tornò a letto. La notte successiva, lo sposo, incuriosito, pensò bene di spiare la moglie. Fu così che l'uomo si accorse che la donna, dopo essersi cosparsa di uno strano unguento, si lanciò dalla finestra, volando. A quella visione il marito rimase sconvolto e decise di sostituire il fluido magico con dell'acqua. La terza notte la moglie, ignara della sostituzione, si cosparse di nuovo col fluido, e, lanciandosi, precipitò. Quando il marito si recò a soccorrerla, pronunciò le seguenti parole: "Meglio na mugliera cu 'e cosce rotte, ca janara". (Traduzione: "Meglio una moglie con le gambe rotte, che strega").

Il lotto

E' probabile che il lotto abbia origine romana, in quanto, allora, esistevano dei giochi alla fine dei quali si estraevano dei premi da un' urna. Ma , a parte questa suggestiva ipotesi, la storia del lotto è la seguente. Non deve a Napoli bensì a Genova la propria origine ( 1576 ) il gioco del lotto. A quell'epoca i genovesi, già allora celebri per il loro fiuto commerciale, erano soliti scommettere sull'estrazione a sorte che si eseguiva ogni anno per eleggere otto senatori, per questo si chiamò gioco dell'otto modificato poi in lotto. Il sistema era questo: Si mettevano nell'urna centoventi nomi di notabili tra i quali i primi cinque estratti a sorte dovevano ricoprire incarichi al Senato e al Consiglio dei procuratori della repubblica. Si cominciò con lo scommettere su questi cinque nomi. Successivamente i nomi imbussolati divennero solo novanta e furono contraddistinti da un numero; in parallelo le scommesse vennero fatte non solo su uno dei numeri, ma anche su due o su tre, dando così vita all'estratto, all'ambo e al terno, che per parecchio tempo furono le sole combinazioni su cui si basò il gioco. Non potevano sfuggire, a quel punto, ai genovesi, dato il loro spirito estremamente positivo, le possibilità economiche che da quel gioco potevano scaturire: così lo regolarizzarono e lo istituzionalizzarono; nel 1643 il governo genovese decretò una tassa sul lotto e lo considerò oggetto di privativa anche se sempre con finalità benefiche. A Napoli si diffonde un secolo dopo ed è chiamato a lungo " il gioco dell'estrazione per li Seminarj di Genova ". Dalle lotterie private si passa alla lotteria di stato, cioè al lotto. Avvenne nel 1672 e ad introdurlo fu determinante un grave fattore politico. La Spagna aveva bisogno di 350.000 ducati. Il viceré, marchese di Astorga, per non gravare di balzelli il popolo, andava escogitando qualche espediente per racimolarli. Ci fu allora, " un erudito ingegno forastiero " che propose d'introdurre " la beneficiata all'uso di Venezia e Genua ". La novità fu accolta con un certo scetticismo dal popolo che, però, non seppe resistere alla tentazione di sfidare la sorte. I premi che dava il governo di allora erano: 18.000 ducati per gli estratti, 45.000 per gli ambi e 120.000 per i terni. L'estrazione del lotto, fino al 1818, aveva luogo due volte al mese; dal 1818 in poi si effettuava ogni sabato fino all'odierna novità delle tre estrazioni settimanali.

martedì 24 gennaio 2012

Napoli Sotteranea

Piazza S. Gaetano (Napoli)

A quaranta metri di profondità sotto le vocianti e caratteristiche vie del centro storico di Napoli, si trova un mondo a parte, per molto ancora inesplorato, isolato nella sua quiete millenaria eppure strettamente collegato con la città.

E’ il grembo di Napoli, da cui essa stessa è nata. Visitarlo significa compiere un viaggio nel tempo lungo duemila e quattrocento anni.

Ci sono passaggi segreti, cisterne, catacombe, acquedotti, per una superficie complessiva che supera i 600.000 metri quadrati ma non si sa chi iniziò a scavare queste cavità.

Forse i Greci che scelsero questi luoghi per fondare la loro antica Neapolis furono attirati proprio dalle rocce gialle del monte Echia, un piccolo vulcano spento che sorge alle spalle della attuale centralissima Piazza Plebiscito, infatti secondo molti archeologi il tufo usato per edificare la cittadella sul vicino isolotto di Megaride venne estratto proprio da quella montagna.

Mentre nel corso dei secoli in profondità aumentavano i metri cubi di vuoto, in superficie si sviluppava una città in "positivo", con i suoi palazzi e i suoi castelli. Oggi gli esempi più rappresentativi di come gli architetti napoletani hanno utilizzato il tufo giallo sono il Castel dell’Ovo costruito sull’ isolotto di Megaride, il Castel Sant’Elmo del 1329 sulla collina di San Martino, e il secentesco Palazzo di Donn’Anna sul mare di Posillipo. Napoli è stata quindi costruita con la stessa pietra del suo sottosuolo, con una "continuità geologica" forse unica al mondo.

'O Monaciello

Ogni abitazione, nella città di Napoli, poteva attingere acqua dalla cisterna sottostante tramite un pozzo al quale aveva accesso il "pozzaro", una classe di liberi professionisti che si muovevano con destrezza in questi antri camminando lungo stretti cunicoli e arrampicandosi su per i pozzi grazie a dei fori praticati a distanza più o meno regolare.

Questi personaggi, veri signori del mondo sotterraneo avevano libero accesso a tutte le case mediante i pozzi e hanno dato origine ad aneddoti e leggende ancora vive nell'immaginario napoletano come quella dei "monacielli", spiriti benevoli o maligni che si occupavano più della padrona di casa che della rete idrica, ed usavano le vie sotterranee che conoscevano bene, per sparire o apparire, sotto il mantello da lavoro che, nella penombra, somigliava appunto al saio di un monaco.

 

Gole del Fiume Calore

Felitto (Salerno)
Le gole strette e profonde formate lungo il corso del fiume Calore, da Felitto a Magliano Vetere, sono oggi un’area protetta, classificata dall’Unione Europea come sito di interesse comunitario. Tale oasi è gestita dal wwf in accordo con il comune di Felitto. Il fiume Calore e l’ambiente che lo circonda è sicuramente l’attrattiva naturalistica principale. Dal bosco della Farneta alla diga in località Remolino, dai suggestivi tracciati intorno alle Gole al ponte di Pietra Tetta, la scelta è ampia. Un ambiente assolutamente selvaggio, con aspetti naturalistici interessanti dal punto di vista geologico, botanico e faunistico.

Laceno

Bagnoli Irpino (Avellino)
Laceno è una frazione di Bagnoli Irpino ed è caratterizzata da uno spettacolare Altopiano nel quale “sorge” un caratteristico Lago. Il Lago Laceno è situato a quota 1100 metri in una conca carsica immersa nel verde.

Il Laceno è il centro turistico irpino estivo ed invernale grazie alla varietà di sentieri escursionistici, alle piste da sci, ai maneggi e alle numerose attività di ristorazione che favoriscono lo sviluppo della località in tutte le stagioni. Nel periodo primaverile sono consigliate le visite alla spettacolare Fiumara di Tannera dove rimarrete incantati dalle sorgenti, dalle cascatelle e dai numerosi guadi che si presteranno dinanzi ai vostri occhi.

Per quanto riguarda l’enogastronomia cè una vasta scelta tra le varie attività di ristorazione nelle quali potrete assaggiare le specialità locali come il tartufo nero, il percorino bagnolese, i funghi porcini, le patate dell’altopiano e nel periodo estivo i favolosi frutti del sottobosco picentino.

'O Pernacchio

'O pernacchio non è un suono.
O pernacchio è rivoluzione, è
libertà. 'O pernacchio è 'a voce
d' 'a gente ca nun tene voce. 'O
pernacchio è un calcio in culo a
tutt' 'e putiente.
Benedetto Casillo

(traduzione in italiano)
Il pernacchio non è un suono.
Il pernacchio è una rivoluzione, è
la libertà. Il pernacchio è la voce
della gente che non tiene voce. Il
pernacchio è un calcio in culo a
tutti i potenti.

La Pastiera

Tra le storie piu’ popolari legate a questo tradizionale dolce partenopeo, conosciuto sinanche fuori dai confini italici, vi e’ quella legata al mito della Sirena Partenope che con il suo canto allietava gli abitanti di quella città che sarebbe divenuta Neapolis e poi Napoli, e che vollero renderle omaggio regalandole i doni della loro fertile terra:
la farina, forza e ricchezza della campagna;
la ricotta, omaggio dei pastori e delle pecore;
le uova, simbolo della vita che da sempre si rinnova;
il grano tenero, bollitonel latte, a prova dei due regni della natura;
l’acqua di fiori d’arancio, perché anche i profumi della terra solevano renderle omaggio;
le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo;
ed infine lo zucchero, per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal suo canto, in cielo, in terra, ed in tutto l’universo.
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno nel suo regno e cosi’ e depose le preziose offerte ai piedi degli dei.
Questi, estasiati dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza e bonta’ il canto della stessa Partenope.

Tra le tante storie che si raccontano sulla pastiera, vi e’ anche quella di re Ferdinando II di Borbone che per quanto fosse bontempone aveva sposato Maria Carolina d’Austria, che gli stessi sudditi avevano soprannominato «nun redeva maje» la regina che non sorride mai, dato il suo carattere nordico e severo.
Un giorno Maria Carolina cedendo alle insistenze del buontempone Ferdinando assaggio’ una fettina di pastiera e non pote’ fare a meno di sorridere e pare che il re abbia detto: - per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovro’ aspettare la prossima Pasqua, per vederla sorridere di nuovo.

Cappella San Severo


Napoli


Le origini della Cappella Sansevero sono legate a un episodio leggendario. Narra, infatti, Cesare d’Engenio Caracciolo nella Napoli Sacra del 1623 che, intorno al 1590, un uomo innocente, trascinato in catene per essere condotto in carcere, passando dinanzi al giardino del palazzo dei di Sangro in piazza San Domenico Maggiore, vide crollare una parte del muro di cinta di detto giardino e apparire un’immagine della Madonna. Egli promise alla Vergine di donarle una lampada d’argento e un’iscrizione, qualora fosse stata riconosciuta la propria innocenza: scarcerato, l’uomo tenne fede al voto. L’immagine sacra divenne allora meta di pellegrinaggio, dispensando molte altre grazie.

Poco dopo, anche il duca di Torremaggiore Giovan Francesco di Sangro, gravemente ammalato, si rivolse a questa Madonna per ottenere la guarigione: miracolato, per gratitudine fece innalzare, lì dove era apparsa per la prima volta la venerabile effigie (oggi visibile in alto sull’Altare maggiore), una “picciola cappella” denominata Santa Maria della Pietà o Pietatella. Fu però il figlio di Giovan Francesco, Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria, che intraprese nei primi anni del ’600 grandi lavori di trasformazione e ampliamento, modificando l’originario sacello in un vero e proprio tempio votivo destinato a ospitare le sepolture degli antenati e dei futuri membri della famiglia.

L'assetto della Cappella e la quasi totalità delle opere in essa contenute sono frutto della volontà di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, che a partire dagli anni ’40 del ’700 riorganizzò la Cappella secondo criteri del tutto nuovi e personali.

Sin dalle origini la Cappella è circonfusa di un alone leggendario: il racconto di d’Engenio Caracciolo è certamente intessuto con particolari fantasiosi, ma la suggestione resta. Il ruolo avuto da Alessandro di Sangro nelle vicende edificatorie della Cappella Sansevero, peraltro, è confermato – oltre che da diverse testimonianze d’archivio – dall’iscrizione posta sulla porta principale del complesso monumentale, che recita: “Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell’anno del Signore 1613”.

info: http://www.museosansevero.it/cappellasansevero/leorigini.html

lunedì 23 gennaio 2012

Antonio Onorato


Chitarrista e compositore, è un musicista Jazz e non solo di fama internazionale.
Alla fine degli anni '60 i suoi genitori si trasferiscono da un piccolo comune dell' alta Irpinia, a Torre del Greco. La passione musicale del padre lo trascina fin da piccolo, facendogli imbracciare una chitarra a soli 6 anni. La sua formazione è fortemente influenzata dall'energia del Vesuvio e del mar Tirreno, due elementi della natura con cui vive a stretto contatto.

Totò


"Che cosa ho chiesto a San Giovanni? Un terno? una quaterna? una cinquina? Niente di tutto questo, ma una sciocchezzuola, una bazzecola, una quisquilia, una pinzellacchera:...far cadere la lingua a mia moglie"

Antonio Clemente nasce il 15 febbraio 1898 al rione Sanità di via Santa Maria Antesaecula in Napoli, da Anna Clemente e, secondo la leggenda dallo stessoTotò alimentata, Giuseppe De Curtis, figlio del marchese De Curtis, che si era sempre opposto al matrimonio tra il nobile figlio e la bella popolana.
Totò cresce nei vicoli di Napoli, che preferisce di gran lunga alla scuola. Viene mandato in un collegio ma non arriva neppure alla licenza ginnasiale. È qui che un insegnante, boxando scherzosamente gli rovina il setto nasale.
Si mette a fare vari lavoretti e si avvicina al teatro, anche se come semplice spettatore. Lo affascinano e colpiscono alcuni personaggi comici, che imita benissimo. E nel 1913/14 debutta in uno dei tanti teatrini napoletani con uno pseudonimo, Clerment.
Totò ha interpretato 97 film. Del primo decennio i film sono soltanto cinque, mentre gli altri 92 sono stati girati tra il 1947 e il 1967, a una media di quasi cinque film all'anno.


La livella

Carnevale strianese 2012

Striano (Napoli)

Salsicce e Friarielli

Dopo aver lavato con cura e liberati i "friarielli" dei gambi stopposi e delle foglie troppo grandi. Basta sgocciolarli ben bene (senza lessarli per non far perdere sapore) e buttarli nell'olio bollente dove l'aglio si è già indorato e il peperoncino. Chiudere con un coperchio e evitare la fiamma troppo alta. La cottura è giusta se consente di sentire la consisitenza dei friarielli senza arrivare al totale spappolamento che ridurrebbe il caratteristico retrogusto un pò amarognolo. La morte dei "friarielli" è con la salsiccia. E' consigliabile fare le salsicce in un altro tegame ed unite ai friarielli (già pronti) prima che siano rosolate completamente. Il resto della cottura, infatti lo possono completare proprio nella padella di friarielli. Si chiamano friarielli dal verbo friere: in napoletano friggere. La radice è di derivazione greca. Il verbo però si è rafforzato quando a Napoli a comandare erano i francesi. Per loro la frittura era ed è molto importante, tanto che in francese buongustaio si dice frison.

Carnevale S.Maria a Vico 2012

Santa Maria a Vico (Caserta)
19 - 21 febbraio 2012

Quest’anno gli spettacoli sono tanti e piaceranno tutti. Decima edizione per il Carnevale di Santa Maria a Vico è organizzato l’associazione socio-culturale, “I Ragni”. I festeggimenti dureranno tre giorni non mancheranno i classici carri allegorici e le loro sfilate. La manifestazione inizia il giorno 19 febbraio e durante la mattinata, si potrà assistere all’inaugurazione e la presentazione di alcuni carri. Per intrattenere i più piccoli, verrà allestito uno spazio di giochi in piazza Roma. Nel pomeriggio, si potrà tornare in piazza Roma per prendere parte agli eventi che vi avranno luogo. Si tratta di performance musicali, canore e di ballo che terranno compagnia. Da non perdere sono le famose “polpette di Carnevale”, distribuite gratuitamente dai cittadini, insieme ad altri dolci.
I grandi festeggiamenti prendono il via martedì 21 febbraio. Maschere, travestimenti, colori e coriandoli scenderanno in strada per celebrare la giornata di festa. I carri, passeranno per sfilare a partire dalle ore 15:00 e tocccheranno tutte le vie del centro mentre continuerà ad esserci musica, ballo e cabaret in Piazza Roma. Bisognerà attendere le ore 19:00 per assistere all’arrivo dei cari nella Piazza. Una volta terminato il corteo, non terminerà il divertimento la cui continuazione sarà assicurata dalla musica da discoteca che vi accompagnerà per l’intera serata. Ultima tappa del Carnevale di Santa Maria che porta a conclusione questa magnifica festa, è lo spettacolo imperdibile dei fuochi d’artificio

Cilento Rosso

Aree di produzione: Salerno
Affinamento:- anni
Caratteristiche: fermo
Abbinamento consigliato:arrosti, formaggi duri, salumi, paste asciutte
Colore: rubino
Odore: vinoso, tipico
Vitigni: aglianico(60-75%) piedirosso e/o primitivo(15-20%)barbera(10-20%)ammessi vitigni raccomandati (max10%)
Sapore:asciutto, delicato
Grad. alcolica min.11.5

Minori


Minori (Salerno)

La Costiera Amalfitana è senza dubbio una delle zone turistiche più affascinanti della Campania e di tutta Italia e Minori ne è una stazione di soggiorno, di recente valorizzazione, nella quale l'incanto del paesaggio è accresciuto dalla suggestione dei ricordi storici e da pregevoli monumenti ed opere d'arte medievali. Minori è l'antica "Rheginna Minor". Il termine "Rheginna" deriva dal greco, ma il significato oggi non è ancora chiaro, se si riferisca a "valle" o "frattura". Inoltre, in contrasto con la vicina contrada di Maiori, "Rheginna Maior", di maggiore estensione, prese l'epiteto di Minori. Le cronache del tempo attestano che l'insediamento cittadino in Minori fu diverso da quello attuale. Esso sorgeva nel borgo denominato "Forcella" nel quale fu fondata l'antichissima Chiesa di S. Maffeo, ossia S. Matteo. Gli uomini venivano descritti "giganteschi e di forza prodigiosa", mentre le donne erano così belle da essere ricercate come modelle da pittori e scultori. La sua favorevole posizione geografica invitò a soggiornare dapprima gli amalfitani e poi, di mano in mano, i nobili scalesi e ravellesi, ed anche i Dogi della Repubblica di Amalfi. Alcuni di costoro sono ivi seppelliti nella Cattedrale. Minori fu arsenale e cantiere delle galere dello Stato e Sede Vescovile dal 987. Fu la rivale di Amalfi per "la sua pittoresca situazione, la sua spiaggia, le sue industrie, i suoi aranci", ma ebbe sorte comune con essa nelle glorie e nelle sventure: così, ad esempio, quando nel 1656 la peste dilagò più intensamente qui che altrove, vi perirono 355 persone, quasi un terzo dell'intera popolazione. In passato Minori, grazie alle acque del torrente Reginnolo, vantò industrie per la carta e mulini. L'industria cartaria rappresentò per lungo tempo un'attività economica assai fiorente. Sin dal XIII° secolo nelle industrie cartiere del posto si fabbricava la carta di cenci, detta "bambagina", di cui si faceva largo uso nei tribunali e negli istituti religiosi. Il ramo di attività economica che, però, presentava la sua maggiore vivacità era quello della preparazione delle paste alimentari, per i meccanismi indotti che metteva in moto. La sua fortuna era dovuta principalmente ai mulini che, da sempre, avevano rappresentato veri centri di potere economico. Strategicamente collocati sul territorio, i mulini rappresentavano gli investimenti preferiti da nobili ed ecclesiastici, che appaltavano a privati. I più fortunati erano riusciti ad accumulare cospicui capitali, tanto da fregiarsi della qualifica di "magnifico" ed entrare a far parte dell'ambita categoria dei "vive civilmente" o "vive del suo". Non bisogna dimenticare che Minori, proprietaria di un mulino, esigeva il suo diritto di macina nella misura di un "tornese" in più rispetto agli altri mulini, a causa della sua posizione e perciò per la "vicinanza e comodo" per chi andava a macinare. Gli abitanti si dedicavano alla lavorazione della pasta. o "maccaroni", introdotta nel XVI° secolo, con grano importato da Salerno.
Numerosi scavi archeologici attestano che Minori, in epoca imperiale romana, doveva certamente essere una notevole località di soggiorno soprattutto "estivo", favorita in questo dalla natura del suo territorio che rendeva facile l'approdo alle "villae" e disagevoli le comunicazioni terrestri per vie montane.

info: http://www.proloco.minori.sa.it/